venerdì 2 giugno 2017

La pagella dei caffè a TORINO

Tratto dall'articolo apparso sulla La Stampa di Torino - 28 maggio 2017 by Sarah Scaparone

A Torino il caffè espresso si beve o molto bene o molto male. È quanto emerso da un viaggio sensoriale tra quindici bar-caffetterie del centro cittadino (e poco oltre) insieme ad Andrej Godina, caffesperto a livello internazionale, docente autorizzato della Specialty Coffee Association e presidente di Umami Area. Lui, che si occupa di formazione partendo dai paesi di origine del caffè, non ha dubbi: «A Torino, come purtroppo in tutta Italia, non si beve bene perché tra gli addetti degli oltre 150 mila bar presenti sul territorio nazionale manca troppo spesso la giusta competenza: il barista è rimasto l’operatore della macchina, non si è trasformato».

 

Le pecche
Gli errori più frequenti riscontrati nel servire una tazza di caffè espresso sono rappresentati da materie prime, lavorazione ed estrazione del caffè di bassa qualità, scarsa pulizia dell’attrezzatura, macchine caffè espresso obsolete. In città, però, qualcosa si sta muovendo: «La tendenza arriva dall’estero - prosegue Godina - ed è quella di servire differenti caffè monorigine: in città spicca per numero di presenze e riguarda non solo piccole realtà, ma anche la grande industria. In generale, poi, i baristi sono preparati a fornire le informazioni basilari sulle miscele, che siano a base Arabica o Robusta». Già, perché questo rappresenta uno dei primi fattori in grado di indicare se ciò che si
beve è un caffè di grande qualità o meno. Arabica e Robusta sono due specie botaniche diverse: la prima è la più pregiata e viene coltivata ad alta quota, dove la maturazione dei frutti avviene a temperature moderate. Solitamente in Italia queste due specie vengono miscelate e la Robusta è molto diffusa sia per un prezzo inferiore, sia perché per la preparazione di un espresso richiede meno formazione tecnica da parte del barista.

 

Consumo consapevole
Imparare a chiedere cosa si beve: questa è la prima regola per sapere se quell’euro speso quasi sovrappensiero può e sere in grado di farci sognare o meno. In una tazza di caffè espresso sono presenti infatti il doppio delle sostanze aromatiche volatili di un bicchiere di vino rosso: si tratta di una caratterizzazione chimica legata alla tostatura che viene avvalorata con il metodo dell’espresso regalando un’esperienza sensoriale unica. Paradossalmente, quindi, pensando al suo lato aromatico, un caffè potrebbe costare come un bicchiere di buon vino. Eccessi a parte, è pur vero che il prezzo uniforme di una tazzina di caffè non aiuta il consumatore a fare chiarezza e a capirne le differenze: «Da anni sostengo - prosegue Godina - che differenziare il prezzo sia fondamentale per far capire come diverse qualità di caffè abbiano caratteristiche sensoriali differenti. A Torino la media dello scontrino è più alta che nel resto d’Italia perché si sta lavorando nell’ottica di una maggiore cultura del caffè e questo è un bene: si va dall’uno ai tre euro contro gli 0,80-0,90 del Sud, ad esempio».
Ma come si fa a riconoscere quando un caffè espresso è di qualità? «Intanto chiedete che miscela state bevendo, quindi osservate la crema: un espresso è perfetto se la crema è color nocciola con striature più scure, se ha uno spessore non inferiore ai 2 mm con bolle d’aria piccole e quasi invisibili e se persiste almeno due minuti».

Metodi diversi
Oltre alla diffusione di caffè monorigine, Torino sta seguendo la proposta internazionale di servire caffè realizzati con altri metodi: dal filtro all’orientale, dal french press al cold brew. «Se è bello vedere che realtà ormai consolidate come Orso Laboratorio Caffè vengono affiancate da luoghi come il Costadoro Diamante che stanno lavorando sul discorso qualitativo e culturale, la delusione maggiore - conclude Godina - riguarda invece i caffè storici che a Torino, come in altre città d’Italia, non propongono caffè all’altezza del nome e dell’importanza del luogo». Come dire: vendere emozioni visive che fanno bene all’anima non soddisfa anche il palato. Purtroppo.