Tratto dall'articolo apparso sulla La Stampa di Torino - 28 maggio 2017 by Sarah Scaparone
A Torino
il caffè espresso si beve o molto bene o molto male. È quanto emerso da un
viaggio sensoriale tra quindici bar-caffetterie del centro cittadino (e poco
oltre) insieme ad Andrej Godina, caffesperto a livello internazionale, docente
autorizzato della Specialty Coffee Association e presidente di Umami Area. Lui,
che si occupa di formazione partendo dai paesi di origine del caffè, non ha
dubbi: «A Torino, come purtroppo in tutta Italia, non si beve bene perché tra gli
addetti degli oltre 150 mila bar presenti sul territorio nazionale manca troppo
spesso la giusta competenza: il barista è rimasto l’operatore della macchina,
non si è trasformato».
Le pecche
Gli
errori più frequenti riscontrati nel servire una tazza di caffè espresso sono
rappresentati da materie prime, lavorazione ed estrazione del caffè di bassa
qualità, scarsa pulizia dell’attrezzatura, macchine caffè espresso obsolete. In
città, però, qualcosa si sta muovendo: «La tendenza arriva dall’estero -
prosegue Godina - ed è quella di servire differenti caffè monorigine: in città
spicca per numero di presenze e riguarda non solo piccole realtà, ma anche la
grande industria. In generale, poi, i baristi sono preparati a fornire le
informazioni basilari sulle miscele, che siano a base Arabica o Robusta». Già,
perché questo rappresenta uno dei primi fattori in grado di indicare se ciò che
si
beve è
un caffè di grande qualità o meno. Arabica e Robusta sono due specie botaniche
diverse: la prima è la più pregiata e viene coltivata ad alta quota, dove la
maturazione dei frutti avviene a temperature moderate. Solitamente in Italia
queste due specie vengono miscelate e la Robusta è molto diffusa sia per un
prezzo inferiore, sia perché per la preparazione di un espresso richiede meno
formazione tecnica da parte del barista.
Consumo consapevole
Imparare
a chiedere cosa si beve: questa è la prima regola per sapere se quell’euro speso
quasi sovrappensiero può e sere in grado di farci sognare o meno. In una tazza
di caffè espresso sono presenti infatti il doppio delle sostanze aromatiche
volatili di un bicchiere di vino rosso: si tratta di una caratterizzazione
chimica legata alla tostatura che viene avvalorata con il metodo dell’espresso
regalando un’esperienza sensoriale unica. Paradossalmente, quindi, pensando al
suo lato aromatico, un caffè potrebbe costare come un bicchiere di buon vino.
Eccessi a parte, è pur vero che il prezzo uniforme di una tazzina di caffè non
aiuta il consumatore a fare chiarezza e a capirne le differenze: «Da anni
sostengo - prosegue Godina - che differenziare il prezzo sia fondamentale per
far capire come diverse qualità di caffè abbiano caratteristiche sensoriali
differenti. A Torino la media dello scontrino è più alta che nel resto d’Italia
perché si sta lavorando nell’ottica di una maggiore cultura del caffè e questo
è un bene: si va dall’uno ai tre euro contro gli 0,80-0,90 del Sud, ad
esempio».
Ma
come si fa a riconoscere quando un caffè espresso è di qualità? «Intanto
chiedete che miscela state bevendo, quindi osservate la crema: un espresso è perfetto
se la crema è color nocciola con striature più scure, se ha uno spessore non
inferiore ai 2 mm con bolle d’aria piccole e quasi invisibili e se persiste
almeno due minuti».
Metodi
diversi
Oltre
alla diffusione di caffè monorigine, Torino sta seguendo la proposta internazionale
di servire caffè realizzati con altri metodi: dal filtro all’orientale, dal
french press al cold brew. «Se è bello vedere che realtà ormai consolidate come
Orso Laboratorio Caffè vengono affiancate da luoghi come il Costadoro Diamante
che stanno lavorando sul discorso qualitativo e culturale, la delusione
maggiore - conclude Godina - riguarda invece i caffè storici che a Torino, come
in altre città d’Italia, non propongono caffè all’altezza del nome e dell’importanza
del luogo». Come dire: vendere emozioni visive che fanno bene all’anima non
soddisfa anche il palato. Purtroppo.